venerdì 1 novembre 2013

Fiat 600 Multipla

La Fiat 600 non ha bisogno di presentazioni: questa piccola vettura ha avuto un ruolo importantissimo nella motorizzazione dell’Italia del dopoguerra. Più di 2.500.000 sono gli esemplari prodotti dalla Fiat ed almeno altrettanti quelli costruiti su licenza da altre case automobilistiche in tutto il mondo (SEAT, Zastava, Fiat Concorde, Neckar e NSU per citarne alcune). Interessantissima fu però una sua versione derivata: la 600 Multipla.


La 600 era stata presentata nel marzo del 1955 in sostituzione della 500C, ossia l’ultima serie della Topolino, che venne tolta dai listini. La Fiat quindi, momentaneamente, non aveva più niente da offrire alla clientela delle 500 Belvedere e Giardiniera, le versioni familiare e furgonata della Topolino. Il problema, che era nell’aria già durante la progettazione della nuova berlina, era nelle mani di Giacosa: come si poteva ricavare senza stravolgerne radicalmente il progetto, una carrozzeria giardinetta da una berlina con il motore posteriore e che quindi mal si prestava ad una simile trasformazione? Come si sarebbe potuto creare un accesso e un comodo piano di carico?
Con una delle sue brillanti idee Giacosa stupì tutti nell’ufficio tecnico della Fiat quando srotolando un disegno esordì dicendo: “beh, se non la si può allungare dietro, vorrà dire che la allungheremo davanti!”. Il nuovo progetto prevedeva infatti l’avanzamento dei posti anteriori sull’avantreno per far posto ad un’altra fila di sedili o a un piano di carico accessibili da due spaziose portiere centrali.
Naturalmente molti lamierati furono creati ex-novo, mentre la meccanica (la parte più costosa del progetto) venne presa senza troppe modifiche dalla berlina, richiedendo quasi solo la riprogettazione del filtro dell’aria per far posto al serbatoio che non si poteva più montare davanti.
L’aumentato peso richiedeva poi un nuovo ponte anteriore e Giacosa, in omaggio all’economia, vi adattò quello più robusto della 1100/103 già in produzione dal 1953 e che fece guadagnare alla nuova vettura un’insospettata stabilità. La 600 Multipla venne lanciata già nella primavera del 1956 e nonostante la sua linea ardita ebbe da subito un gran numero di estimatori, in gran parte artigiani, commercianti e soprattutto taxisti.
 

Le configurazioni proposte erano due: una 4/5 posti, con due file di sedili (i centrali abbattibili) e un bagagliaio tra questi e il parafiamma del motore con lo spirito di una classica familiare, e una 6 posti con tre file di sedili un pò più spartana e destinata ad un’utenza professionale.
Su quest’ultima i sedili si ripiegavano in modo da scomparire nel pianale lasciando una vasta ed uniforme piattaforma per il trasporto.
 
In alto la configurazione 6 posti.  In basso la 4/5 posti
Il motore era lo stesso 633 cc  e 21,5 cv della berlina, ma con un rapporto al ponte leggermente più corto dato il diverso impiego della vettura. Naturalmente il piccolo propulsore fruì di tutti gli aggiornamenti tecnici e degli incrementi di potenza che interessarono la berlina nel corso degli anni e venne sostituito anch’esso con il nuovo 767 cc da 32 cv quando nel 1960 vide la luce la rinnovata 600D. 
Dante Giacosa forse non lo sapeva ma con la 600 Multipla aveva creato la prima “monovolume” della storia... Prima di questa l’unico esperimento del genere, ma con esiti molto diversi, era stata la realizzazione del VW typ 2 sul telaio del Maggiolino.
La 600 Multipla fu comunque, nel suo genere, un successo: quasi 160.000 gli esemplari prodotti: niente male per una “sorella” della 600 !



mercoledì 4 settembre 2013

Innocenti A 40

La A40 fu la vettura che segnò l’ingresso della Innocenti nel novero dei costruttori automobilistici. Questa piccola azienda si era già distinta negli anni trenta per la produzione di tubi e giunti per impalcature e, nel 1947, per la famosa Lambretta. Nel 1959 stipulò un accordo con la BMC, proprietaria di diversi marchi, tra i quali Austin e Morris, per produrre su licenza la Austin A40, nata l’anno prima. 



La Innocenti come azienda metalmeccanica, aveva la Fiat tra i propri clienti e per questo non avrebbe potuto, sia per vincoli legali sia per non mettersi in attrito con il più grande produttore nazionale, progettare e produrre integralmente una propria vettura, senza contare i costi davvero alti per un’azienda allora ancora piccola. Dal canto suo la BMC era desiderosa di diffondere un suo modello anche nel nostro mercato senza dover soggiacere a costi di esportazione, trasporti e dazi doganali. 
La A40 era molto interessante poiché la sua carrozzeria era stata disegnata dalla Pininfarina, e quindi non era troppo lontana dai gusti del pubblico italiano, inoltre la sua cilindrata di 948 cc la poneva idealmente tra le Fiat 600 e 1100, un segmento di mercato in quegli anni ancora non affollato. 
Per rendersi conto di quanto fosse importante un modello di questa tipologia bisogna pensare che ancora negli anni ‘60 le cilindrate tra 500 e 1000 cc erano considerate molto distanti e che 1300 cc erano, almeno in Italia, un limite quasi invalicabile e riservato a vetture costose o sportive, come ad esempio la Giulietta. Ma torniamo alla nostra Innocenti, che conservò il nome A40 e venne presentata nell’ottobre del 1960. 
La piccola vettura ebbe un discreto successo e già l’anno successivo la Innocenti introdusse, con la A40 Combinata, una novità: la parte posteriore non aveva più l’angusta apertura del vano portabagagli come sulla versione inglese, ma era ora completamente apribile grazie a due mezze porte incernierate in alto e in basso, o come si diceva allora, a “bocca di lupo”. 

Una modifica esteriormente poco appariscente ma che prevedeva la sostituzione di diversi lamierati oltre all’irrobustimento della parte posteriore. Il nuovo modello però venne subito apprezzato dai piccoli artigiani e da quanti volevano una vettura comoda e con una notevole capacità di carico senza però ricorrere ad una Familiare. Il piccolo motore di 948cc e 37 cv la spingeva a poco più di 120 Km/h, velocità di tutto rispetto dato il tipo di vettura, ma già nel 1962, con la seconda serie, in concomitanza con alcuni aggiornamenti alla vettura, venne incrementata la potenza a 42 cv. 
Nel dicembre di quello stesso anno alla A40 si affiancò la A40S, con un nuovo motore di 1098 cc e 50 cv, lo stesso che equipaggiava l’appena nata IM3, altro frutto della collaborazione con la BMC: la velocità era ora di oltre 135 Km/h e la capacità di trasporto alquanto migliorata. Posteriormente poi l’apertura in due pezzi aveva lasciato il posto ad un portellone unico incernierato in alto, che rendeva ancora più comode le operazioni di carico e scarico di oggetti ingombranti.

Questa vetturetta utilitaria ma che ben si adattava al piccolo trasporto e ad impieghi di lavoro conobbe perciò una discreta fortuna, sorte che non toccò alle più raffinate IM3 e poi J4 e J5 che la seguirono e che non riuscirono a competere con le Lancia.
Tuttavia la Innocenti era riuscita a trovare il suo spazio tra i costruttori nazionali e diverrà famosa dopo il 1965 per la produzione, in Italia, della Mini.

venerdì 16 agosto 2013

Volkswagen 1500

Chi non conosce il Maggiolino? La “vettura del popolo” che ha fatto nascere e ha dato il nome alla Volkswagen è così famosa e diffusa che ha finito per mettere in ombra tutte le altre vetture che avrebbero dovuto, negli anni, sostituirla. 
La Typ 3, meglio nota nella sua versione berlina come 1500, è una di queste.


Prodotta dal 1961 sul pianale del Maggiolino (Typ 1) con sospensioni indipendenti a bracci e molle a barra di torsione, conservava anche il motore posteriore a cilindri contrapposti raffreddato ad aria, ora portato a 1493 cc e con una potenza di 44 cv. La nuova vettura non era quindi molto innovativa dal punto di vista tecnico ed anche la carrozzeria berlina a due porte dalle linee arrotondate era abbastanza scontata e fin troppo adeguata alle tendenze dell’epoca. Aveva anzi elementi come le piccole pinne posteriori o i fari non integrati nella calandra che in quei primi anni ‘60 andavano velocemente scomparendo in favore di linee più tese e spigolose e di forme maggiormente integrate nei volumi della vettura. 
Era però assai solida e molto ben costruita, sufficientemente comoda e spaziosa e poteva contare su una meccanica dalla affidabilità proverbiale. Aveva addirittura due vani per i bagagli: oltre a quello anteriore, occupato però in parte dalla ruota di scorta, la nuova sistemazione orizzontale della ventola di raffreddamento del motore aveva permesso di ricavare un ulteriore vano al di sopra di quest’ultimo. Il ridotto ingombro del motore rese possibile la realizzazione della carrozzeria giardinetta, sempre a due porte, denominata Variant, nella quale fu possibile realizzare un piano di carico continuo dalla coda ai sedili anteriori. Questa versione fu addirittura più apprezzata dal punto di vista stilistico perché il volume posteriore era piu armonico e faceva apparire la vettura meno “datata”. Come tradizione in casa Volkswagen la vettura fu migliorata e rivista ogni anno in diversi dettagli.




Nel 1964 venne munita del motore “S” con rapporto di compressione aumentato e 10 cv in più, mentre nel 1966 vennero ridisegnati i fari e i fanali, ora più grandi, e la gamma si arricchì di un nuovo modello: la TL, una fastback con motore di 1584 cc e 54 cv. Ovviamente il nuovo motore si poteva ottenere a richiesta anche sulle altre “sorelle”. Al motore 1600 veniva di norma abbinato un allestimento ancora più curato sottolineato dalla dicitura “L”, ossia Luxus. 
Tutto ciò però non fu sufficiente per far brillare di luce propria questi modelli, la Volkswagen per antonomasia rimaneva il Maggiolino che offuscò anche la fama della successiva Typ 4, ancora meno fortunata. Il Maggiolino si avvalse tuttavia negli anni delle migliorie e delle nuove soluzioni studiate e collaudate anche su queste vetture. L’ultimo restyling della 1500 è del 1970, in cui vennero ridisegnati i fari e i fanali, ancora più grandi secondo i dettami della moda, e vennero aggiunti inserti in gomma ai paraurti, oltre a nuovi interni in cui la plastica ormai dominava. La Typ 3 arriva così senza infamia e senza lode al 1973, quando per non essere di ostacolo all’ascesa della Golf ormai al debutto, viene tolta dalla produzione. In tutti questi anni però è stata prodotta, in tutte le sue versioni, in oltre 2.500.000 di esemplari: certo, se paragonata alla produzione del Maggiolino non sembra tanto, ma è a tutti gli effetti una ragguardevole cifra. E... al termine della storia: che fine ha fatto la Typ 2 ? Una carriera fortunatissima: è il notissimo furgoncino VW!   


mercoledì 10 luglio 2013

Autobianchi Primula

La Primula si può a buon titolo considerare una vettura importantissima che impresse una svolta fondamentale nel modo di progettare e costruire le vetture. Tutte le Fiat che la seguirono, fino ai nostri giorni, conservano il suo apprezzato schema costruttivo. 
Ma allora perché la Primula porta il marchio Autobianchi? Questo l’antefatto:  nel 1931 è allo studio alla Fiat una piccola vettura con motore e trazione anteriore; è la prima volta che si mira a produrre industrialmente una piccola vettura con tali caratteristiche e Oreste Lardone è il giovane autore dell’ardito progetto. 
Sfortuna volle che il prototipo di questa vettura si incendiasse durante una prova con a bordo il senatore Giovanni Agnelli che, spaventato dall’accaduto, licenziò il povero Lardone e bandì “per sempre” la trazione anteriore dalla produzione Fiat. Il progetto fu ripreso ed ultimato, con una meccanica classica, da Dante Giacosa e portò alla nascita della celebre “Topolino”, ma il diktat riecheggiò a lungo alla Fiat. Giacosa però era convinto della validità della trazione anteriore e nei primi anni ‘60 riuscì a convincere anche i dirigenti della casa degli evidenti vantaggi del nuovo schema meccanico ed ottenne di poter procedere a patto però che, ad evitare ogni danno di immagine alla Fiat, a produrre la nuova vettura fosse la consociata Autobianchi. 
Così nel 1964 vide la luce la Primula, che a dispetto di tutto si presentò subito come un’ottima vettura.


Il motore anteriore in posizione trasversale fece aumentare in modo considerevole lo spazio all’interno dell’abitacolo, che non dovendo più ospitare la scatola del cambio e l’albero di trasmissione si presentava piatto e con un inconsueto spazio per le gambe ai posti anteriori. Ma i vantaggi maggiori si notavano guidando la vettura che risultava più leggera e quindi più scattante e veloce e faceva risaltare le doti del “vecchio” propulsore di 1221 cc e 48 cv mutuato dalla 1100D. 
La trazione anteriore rendeva poi assai facile la guida rendendo la vettura più stabile con traiettorie più pulite e facili da correggere, non risentendo del sovrasterzo con cui devono combattere da sempre le trazioni posteriori. Non paga di queste novità la Primula annoverava anche il nuovo schema di sospensioni anteriori Mc Pherson e fu la prima ad adottare un preciso sterzo a cremagliera. 
La carrozzeria era classica, presentando ancora le pinne al posteriore e la griglia anteriore scorporata dai fari più alti, tuttavia non appariva eccessivamente superata, grazie ad una estrema pulizia e leggerezza, agli interni moderni e razionali ed a particolari estetici come maniglie, paraurti e fregi tutti di nuovo disegno.

L'ampio portellone posteriore ottenibile sulla Primula 

Diversi furono i modelli disponibili, a due o quattro porte, con o senza portellone posteriore e ci fu anche una versione coupè che disponeva di motori più “spinti”: dal 1221 con carburatore doppio corpo e 65 cv del 1965 fino al 1438 della Coupè S del 1968 che, in uso anche sulla 124 Special, disponeva di 75 cavalli: non pochi per quegli anni.
La Primula quindi, seppure non fu un best-seller (poco più di 76.000 gli esemplari prodotti fino al 1970) fu comunque un successo aprendo le porte e dissipando le perplessità sullo schema “tutto-avanti” che oggi è la regola.
Prima di lei ci furono le note “Mini” e “Traction Avant” a muovere i primi passi in questa direzione, ma si può tuttavia affermare che molte delle moderne vetture devono qualcosa alla modesta Primula.



lunedì 8 luglio 2013

Ford Anglia

La più nota delle Anglia, la 105E, vide la luce nel 1959 e destò subito sensazione con la sua carrozzeria di tipico gusto americano e soprattutto per quel lunotto posteriore “rovesciato”, la sua caratteristica più evidente, che non la accomunava ad alcun altra auto del periodo. 



A ben guardare qualcosa del genere si era visto in Italia in alcuni prototipi realizzati da Pininfarina su base Fiat 600, ma la cosa non ebbe seguito. Solo alcuni anni più tardi altre tre vetture sfoggiarono una linea così ardita: la Citroen Ami 6, un’altra Ford, la Consul 315 e, in modo meno esasperato, la Bianchina Quattroposti del 1962. 
La piccola Anglia non mancava quindi di audacia e di personalità, ed anche il motore di 996 cc e 40 cv era stato riprogettato abbandonando l’ormai obsoleto schema a valvole laterali. Il cambio era adesso a quattro marce con le ultime tre sincronizzate e con questa meccanica la berlinetta della Ford raggiungeva quasi i 120 Km/h. Insomma anche se in quegli anni i gusti andavano rapidamente mutando l’Anglia si proponeva come una vettura, forse non all’avanguardia, ma sicuramente interessante e dall’aspetto decisamente anticonformista. 



A proposito della sua linea va ricordato che sebbene avesse un discreto successo di vendite, si dubitava di un sicuro riscontro presso il pubblico italiano, perciò fu commissionato a Giovanni Michelotti un nuovo e più convenzionale disegno per la sua carrozzeria. La nuova versione si chiamò Anglia Torino e venne prodotta proprio in questa città dalla Officina Stampaggi Industriali a partire dal 1964. Nonostante la nuova carrozzeria questa versione dell’Anglia non ebbe particolare fortuna e la produzione si arrestò già nel 1965 dopo poco più di 10.000 unità assemblate, anche se le immatricolazioni continuarono fino alla fine del decennio. 
Poco apprezzata in Italia la piccola Ford conobbe invece una discreta fortuna in patria: in Inghilterra, nota terra di piloti e di meccanici, fiorirono numerosissime elaborazioni e versioni speciali e per il suo motore vennero preparati e commercializzati i più disparati accessori e componenti tra cui una speciale testata a quattro valvole per cilindro, che con un opportuno sistema di alimentazione e di scarico portava il piccolo motore a livelli di potenza senza precedenti. 
La Ford Anglia era quindi in quegli anni una presenza naturale in circuiti e competizioni sia ufficiali che amatoriali, divenendo una sorta di trampolino di lancio per molti giovani piloti. A partire dal 1962 ai modelli Standard e Deluxe venne affiancata la Anglia Super, piu ricca e meglio rifinita e con un motore di 1198 cc e 48 cv. Da questa poi venne derivata la Sportsman, principalmente per l’esportazione, più ricca di cromature e con la ruota di scorta  posta esternamente dietro al bagagliaio, vezzo di gran moda all’epoca e che veniva chiamato “Continental Kit”. 
Non mancarono infine la versione familiare Anglia Estate e il furgone non vetrato da essa derivato ossia l’Anglia Van. Pur essendo stretta tra la Popular, una vera e propria utilitaria con cui aveva molto in comune, e la Cortina, berlina più spaziosa più adatta alle famiglie, la piccola Anglia venne tuttavia prodotta in poco meno di 1.300.000 esemplari e anche se il suo aspetto non smise mai di destare perplessità, fu comunque un’ottima ed affidabile vettura che preparò la strada alla celebre e fortunata Ford che la seguì: la Escort. 


domenica 7 luglio 2013

Simca 1000

Nel 1959 la Fiat comincia a pensare ad un modello da inserire tra la 600 e la 1100 e l’anno successivo mette in cantiere il “progetto 122”, ma le vendite eccezionali della 600 non fanno certo sentire l’urgenza di una nuova vettura e così lo studio procede stancamente (solo nel 1964 si vedrà la 850).
Nello stesso periodo la Société Industrielle de Mécanique et de Carrosserie Automobile, fondata nel 1934 dall’italiano Enrico Teodoro Pigozzi per assemblare, e in seguito produrre vetture su licenza Fiat, sta producendo grosse berline su licenza della Ford SAF e le vendite non vanno troppo bene. Ci vorrebbe proprio una piccola vettura economica per rilanciare l’immagine (e le finanze) della casa. In quel 1960 Fiat e SIMCA stringono nuovamente i loro rapporti: la Fiat cede studi e disegni della 122, oltre a mettere a disposizione i propri tecnici, tra cui Dante Giacosa e Rudolf Hruska. La linea della nuova carrozzeria viene nel frattempo definita da Mario Revelli di Beaumont. Nel 1961 la SIMCA 1000 è già in strada.


 

Il pubblico però la giudica in un primo momento eccessivamente spartana e le vendite non decollano. Basta però rivedere allestimenti e finiture e, soprattutto, aumentare la potenza del piccolo motore per fare della 1000 una vettura di successo diffusa in tutto il mondo arrivando ad essere prodotta, nelle sue numerose versioni, in poco meno di 2.000.000 di esemplari.
Osservandone la meccanica la piccola SIMCA rivela la sua stretta parentela con la Fiat 600, con la stessa disposizione degli organi meccanici; ha però quattro portiere, un discreto bagagliaio all’anteriore ed anche, pur non essendo una giardinetta, il sedile posteriore ribaltabile, Mario Revelli era infatti un pioniere delle “carrozzerie funzionali” e aveva applicato alla nuova utilitaria alcuni piccoli accorgimenti che, almeno in parte, ne decretarono il successo. Il piccolo prezzo da pagare fu una carrozzeria molto lineare e squadrata, tanto che all’epoca qualcuno la definì “una scatola da scarpe”, ma il volume interno era impareggiabile e la linea tutto sommato simpatica. Soltanto la finestratura laterale manifestava un certo scompenso: il finestrino anteriore risultava sensibilmente più corto del posteriore, ma ciò era dettato dall’arretramento dell’abitacolo che dava slancio alla linea e, soprattutto, dalla soluzione fortemente voluta delle quattro portiere.
Per la sua semplice eleganza, l’economia d’ uso, la praticità e per il fatto di trovarsi un gradino sopra la 600 la SIMCA 1000 conobbe una grande diffusione anche in Italia dove inevitabilmente si trovò in forte concorrenza con la Fiat 850, con cui condivideva il progetto d’origine. Si difese bene anche dalle contemporanee Renault 8 e 10, molto simili e nella stessa fascia di mercato, e dalla Prinz 4, nata sempre nel 1961, più piccola ma molto agguerrita.

La seconda serie aggiornata nell'estetica con la nuova fanaleria di coda
La 1000 nella sua versione più diffusa montava un quattro cilindri in linea raffreddato ad acqua di 944 cc e 45 cv che la spingeva a poco più di 120 Km/h, ma ricevette nella sua lunga carriera motori più performanti di 1118, 1204 e 1294 cc con potenze di 56, 62 e 75 cv fino ai 106 che consentivano 180 Km/h all’ultima serie della fortunata versione Rally. Ne venne creato poi un particolare modello economico di 777 cc con 30 cv e fu disponibile inoltre con una filante carrozzeria coupé disegnata da Bertone. Infine fu con la 1150 l’unico caso (escludendo le poche Porsche 356B) di vettura di grande serie non prodotta dalla Fiat a ricevere le cure del leggendario Carlo Abarth. 

lunedì 1 luglio 2013

Fari e fanali...

In diverse vetture, ed in particolare in quelle sportive realizzate in serie limitata, dove non si riteneva opportuno (ed economico!) approntare una produzione particolare, poteva capitare che si usassero particolari provenienti da vetture più diffuse.
I più evidenti, dato che finivano per caratterizzare il design della vettura, erano appunto i fari ed i fanali.
I fanali posteriori della Lamboghini Miura, ad esempio, sono quelli della Fiat 850 Sport Spider, quelli della Lancia Fulvia Sport Zagato (I° serie)

Fanale NSU Prinz 4 - Fulvia Zagato
provengono invece dalla NSU Prinz. Almeno tre vetture, la Ford Taunus 17M, la Prinz 1000 e la Lamborghini 350 GT, hanno in comune gli inconsueti (per l'epoca) fari ellissoidali...
I fari rotondi da 175 mm delle Fiat (SIEM, Carello) hanno equipaggiato diverse vetture cambiando la foggia della ghiera cromata, citiamo ad esempio le 1100 D e 1100 R, la 850 e la 124, ma li troviamo anche sull'ultima serie della 600D, sulla 128, sulla Ritmo e sono stati impiegati anche sulla Dino 246 gt e come faro esterno dell'Alfa Romeo Giulia...
La Fiat aveva invece  previsto due diversi tipi di fanale posteriore per equipaggiare la 850 e la 1100 R, ma il fatto che avessero lo stesso ingombro e la stessa foratura dei lamierati per il montaggio ha fatto sì che venissero montati talvolta indifferentemente sui due tipi di vettura, ad esempio a seguito di una riparazione. Il fanale della 850 ha il catarifrangente stretto, quello della 1100 più sottile e largo  (*). Entrambi si ispirano ai fanali delle Simca 1000 (1961) e 1300/1500 (1963).



I fari anteriori della 850 Familiare erano quelli delle berline 1300/1500 che continueranno a sopravvivere con minime modifiche alla rigatura del vetro sulla 132 e poi sulla 131 mirafiori, mentre la 850 Coupè II serie condivideva i fanali posteriori con la 128 Rallye.
La grintosa Lamborghini Countach montava invece una versione senza cornici cromate dei fanali posteriori della Alfa Romeo Alfetta I° serie.
Le Fiat 1200 Spider Pininfarina avevano i fanali posteriori in comune nientemeno che con la Ferrari 250 Gt 2+2
E come dimenticare i fanali delle fiat 500, che seppure molto personali, montati orizzontalmente, equipaggiarono diversi e numerosi modelli di Dune Buggy fioriti nei primi anni '70.
I fanali posteriori delle Alfa Giulia e 1750/2000 erano disegnati per essere montati su lamierati piani (le berline da cui provenivano erano a coda tronca) ed hanno perciò facilmente equipaggiato diverse vetture sportive.
Ad esempio i fanali della 1750 decoravano egregiamente il posteriore della De Tomaso Pantera, mentre la Maserati Ghibli si fregiava dei fanali della seconda serie delle Giulia per poi dotarsi, dopo il 1971, dei più moderni fanali dell'Alfa 2000 commercializzata in quell'anno, fanali usati anche dalla Maserati Khamsin.

Una Ghibli del 1968 con i fanali della Giulia II° serie
Anche la Pantera comincerà in seguito a montare quest'ultimo tipo di fanale (Alfa 2000). La Iso Rivolta Fidia montava invece i fanali della Fiat 124 Sport Coupè I° serie, scelti anche dalla Bitter per la sua versione coupè dalla Opel Diplomat V8 e dalla Lamborghini per la Espada, che monterà successivamente quelli dell'Alfa 1750.
Fanali Alfa 1750, sostituiti poi da quelli della 124 Sport II° serie, invece per la Lamborghini Jarama.



(*) Nota:
I fanali posteriori della Fiat 1100, cioè quelli con il catarifrangente largo, furono montati per un certo periodo dalla stessa Fiat sulla versione "special" della 850 che uscì nel 1968.
Era questo uno dei particolari che la differenziavano dalle berline normali e super, oltre alle cromature delle guarnizioni dei cristalli, al profilo sulle fiancate e sulle grondine, alle ruote di 13', al diverso cruscotto con volante in finto legno e al diverso fregio frontale.
Il motore, sempre di 843 cc. erogava 47 cv, 10 in più della versione "super".

sabato 29 giugno 2013

Renault Dauphine

E' il 1951 quando alla Renault si pensa di sostituire la famosa ed apprezzata 4CV. Questa fortunata vettura è in produzione dal 1946 e il suo progetto risale agli anni della guerra: bisogna quindi mettere in cantiere una nuova vettura che ne raccolga l'eredità.
L'arduo compito viene affidato a Fernand Picard, che ha già curato il progetto della 4CV, mentre Robert Barthaud e Jacques Ousset si occupano di definire la linea della carrozzeria, ispirandosi a quella della grossa berlina Frègate da poco entrata in produzione.
Nel 1952 sono già su strada i primi prototipi della nuova berlinetta che avrebbe dovuto chiamarsi 5CV: il nome Dauphine venne scelto nel 1955, poco prima della presentazione ufficiale.
Arriviamo così al marzo del 1956, quando la nuova Dauphine fa bella mostra di sé al salone dell'automobile di Ginevra.


E' una berlina a quattro porte, più grande e più moderna della 4CV, che pure continuerà ad affiancarla, sempre richiesta, per altri cinque anni. La nuova Dauphine però riscuote da subito un successo enorme arrivando ad essere prodotta in tutta la sua lunga carriera in oltre 2.150.000 esemplari, un vero record per quegli anni.
Le prestazioni non erano emozionanti, il suo piccolo propulsore di 848 cc. sviluppava 26,5 cv. che bastavano però a farle raggiungere i 115 Km/h. L'abitacolo, per i canoni dell'epoca poteva dirsi spazioso e la soluzione delle quattro porte non era certo comune sulle vetture utilitarie.
La Dauphine infatti, a dispetto della praticità d'uso e del costo non proibitivo, si poneva un po' più in alto rispetto ad una semplice utilitaria (per questo la Renault avrebbe presentato nel 1961 la R4), e questo si può intuire dalla linea dell carrozzeria che, come già detto, si rifaceva alla Frègate, maestosa berlina di 2 litri di cilindrata, e da alcuni vezzi, come le portiere già tutte controvento, il doppio avvisatore acustico (clacson per la città, trombe per le strade extraurbane), i fregi e i profili cromati, i pneumatici con fascia bianca..
Inoltre dal 1964 è equipaggiata con freni a disco su tutte le ruote, cosa invero poco comune e riservata alle auto più prestigiose anche nei decenni successivi.
Tra i difetti vanno annoverati la non troppo buona tenuta di strada, che venne rimarcata dalle riviste dell'epoca, una certa tendenza alla ruggine, la scarsa affidabilità dell'impianto elettrico e il non impeccabile funzionamento dell'impianto di raffreddamento, dovuto alla sistemazione posteriore del motore e del radiatore, costretti a "respirare" solamente dalle eleganti ma esigue prese d'aria alla fine delle portiere posteriori.
Nel complesso però la Dauphine si è dimostrata una vettura soddisfacente per la sua vastissima clientela, tanto da essere esportata in numerosi paesi, compresi gli Stati Uniti. In Italia, a seguito di un accordo, fu prodotta dal 1959 al 1964 dalla Alfa Romeo raccogliendo anche nel nostro mercato, dominato dalla Fiat, un discreto successo.
Alla fine del 1960 per una clientela più esigente venne presentata la Ondine, più ricca di cromature e meglio rifinita, con interni inpanno, cerchi ruota di diverso disegno e cambio a 4 marce (come già le Dauphine italiane). Degne di nota sono poi le versioni sportive, che si distinsero nel Rally di Montecarlo nel 1958 e in quello della Costa d'Avorio l'anno successivo, e ben due versioni con motore elettrico. Ultima curiosità: dal 1958 tra gli accessori sul mercato per questa vettura era disponibile il turbocompressore.