mercoledì 10 luglio 2013

Autobianchi Primula

La Primula si può a buon titolo considerare una vettura importantissima che impresse una svolta fondamentale nel modo di progettare e costruire le vetture. Tutte le Fiat che la seguirono, fino ai nostri giorni, conservano il suo apprezzato schema costruttivo. 
Ma allora perché la Primula porta il marchio Autobianchi? Questo l’antefatto:  nel 1931 è allo studio alla Fiat una piccola vettura con motore e trazione anteriore; è la prima volta che si mira a produrre industrialmente una piccola vettura con tali caratteristiche e Oreste Lardone è il giovane autore dell’ardito progetto. 
Sfortuna volle che il prototipo di questa vettura si incendiasse durante una prova con a bordo il senatore Giovanni Agnelli che, spaventato dall’accaduto, licenziò il povero Lardone e bandì “per sempre” la trazione anteriore dalla produzione Fiat. Il progetto fu ripreso ed ultimato, con una meccanica classica, da Dante Giacosa e portò alla nascita della celebre “Topolino”, ma il diktat riecheggiò a lungo alla Fiat. Giacosa però era convinto della validità della trazione anteriore e nei primi anni ‘60 riuscì a convincere anche i dirigenti della casa degli evidenti vantaggi del nuovo schema meccanico ed ottenne di poter procedere a patto però che, ad evitare ogni danno di immagine alla Fiat, a produrre la nuova vettura fosse la consociata Autobianchi. 
Così nel 1964 vide la luce la Primula, che a dispetto di tutto si presentò subito come un’ottima vettura.


Il motore anteriore in posizione trasversale fece aumentare in modo considerevole lo spazio all’interno dell’abitacolo, che non dovendo più ospitare la scatola del cambio e l’albero di trasmissione si presentava piatto e con un inconsueto spazio per le gambe ai posti anteriori. Ma i vantaggi maggiori si notavano guidando la vettura che risultava più leggera e quindi più scattante e veloce e faceva risaltare le doti del “vecchio” propulsore di 1221 cc e 48 cv mutuato dalla 1100D. 
La trazione anteriore rendeva poi assai facile la guida rendendo la vettura più stabile con traiettorie più pulite e facili da correggere, non risentendo del sovrasterzo con cui devono combattere da sempre le trazioni posteriori. Non paga di queste novità la Primula annoverava anche il nuovo schema di sospensioni anteriori Mc Pherson e fu la prima ad adottare un preciso sterzo a cremagliera. 
La carrozzeria era classica, presentando ancora le pinne al posteriore e la griglia anteriore scorporata dai fari più alti, tuttavia non appariva eccessivamente superata, grazie ad una estrema pulizia e leggerezza, agli interni moderni e razionali ed a particolari estetici come maniglie, paraurti e fregi tutti di nuovo disegno.

L'ampio portellone posteriore ottenibile sulla Primula 

Diversi furono i modelli disponibili, a due o quattro porte, con o senza portellone posteriore e ci fu anche una versione coupè che disponeva di motori più “spinti”: dal 1221 con carburatore doppio corpo e 65 cv del 1965 fino al 1438 della Coupè S del 1968 che, in uso anche sulla 124 Special, disponeva di 75 cavalli: non pochi per quegli anni.
La Primula quindi, seppure non fu un best-seller (poco più di 76.000 gli esemplari prodotti fino al 1970) fu comunque un successo aprendo le porte e dissipando le perplessità sullo schema “tutto-avanti” che oggi è la regola.
Prima di lei ci furono le note “Mini” e “Traction Avant” a muovere i primi passi in questa direzione, ma si può tuttavia affermare che molte delle moderne vetture devono qualcosa alla modesta Primula.



lunedì 8 luglio 2013

Ford Anglia

La più nota delle Anglia, la 105E, vide la luce nel 1959 e destò subito sensazione con la sua carrozzeria di tipico gusto americano e soprattutto per quel lunotto posteriore “rovesciato”, la sua caratteristica più evidente, che non la accomunava ad alcun altra auto del periodo. 



A ben guardare qualcosa del genere si era visto in Italia in alcuni prototipi realizzati da Pininfarina su base Fiat 600, ma la cosa non ebbe seguito. Solo alcuni anni più tardi altre tre vetture sfoggiarono una linea così ardita: la Citroen Ami 6, un’altra Ford, la Consul 315 e, in modo meno esasperato, la Bianchina Quattroposti del 1962. 
La piccola Anglia non mancava quindi di audacia e di personalità, ed anche il motore di 996 cc e 40 cv era stato riprogettato abbandonando l’ormai obsoleto schema a valvole laterali. Il cambio era adesso a quattro marce con le ultime tre sincronizzate e con questa meccanica la berlinetta della Ford raggiungeva quasi i 120 Km/h. Insomma anche se in quegli anni i gusti andavano rapidamente mutando l’Anglia si proponeva come una vettura, forse non all’avanguardia, ma sicuramente interessante e dall’aspetto decisamente anticonformista. 



A proposito della sua linea va ricordato che sebbene avesse un discreto successo di vendite, si dubitava di un sicuro riscontro presso il pubblico italiano, perciò fu commissionato a Giovanni Michelotti un nuovo e più convenzionale disegno per la sua carrozzeria. La nuova versione si chiamò Anglia Torino e venne prodotta proprio in questa città dalla Officina Stampaggi Industriali a partire dal 1964. Nonostante la nuova carrozzeria questa versione dell’Anglia non ebbe particolare fortuna e la produzione si arrestò già nel 1965 dopo poco più di 10.000 unità assemblate, anche se le immatricolazioni continuarono fino alla fine del decennio. 
Poco apprezzata in Italia la piccola Ford conobbe invece una discreta fortuna in patria: in Inghilterra, nota terra di piloti e di meccanici, fiorirono numerosissime elaborazioni e versioni speciali e per il suo motore vennero preparati e commercializzati i più disparati accessori e componenti tra cui una speciale testata a quattro valvole per cilindro, che con un opportuno sistema di alimentazione e di scarico portava il piccolo motore a livelli di potenza senza precedenti. 
La Ford Anglia era quindi in quegli anni una presenza naturale in circuiti e competizioni sia ufficiali che amatoriali, divenendo una sorta di trampolino di lancio per molti giovani piloti. A partire dal 1962 ai modelli Standard e Deluxe venne affiancata la Anglia Super, piu ricca e meglio rifinita e con un motore di 1198 cc e 48 cv. Da questa poi venne derivata la Sportsman, principalmente per l’esportazione, più ricca di cromature e con la ruota di scorta  posta esternamente dietro al bagagliaio, vezzo di gran moda all’epoca e che veniva chiamato “Continental Kit”. 
Non mancarono infine la versione familiare Anglia Estate e il furgone non vetrato da essa derivato ossia l’Anglia Van. Pur essendo stretta tra la Popular, una vera e propria utilitaria con cui aveva molto in comune, e la Cortina, berlina più spaziosa più adatta alle famiglie, la piccola Anglia venne tuttavia prodotta in poco meno di 1.300.000 esemplari e anche se il suo aspetto non smise mai di destare perplessità, fu comunque un’ottima ed affidabile vettura che preparò la strada alla celebre e fortunata Ford che la seguì: la Escort. 


domenica 7 luglio 2013

Simca 1000

Nel 1959 la Fiat comincia a pensare ad un modello da inserire tra la 600 e la 1100 e l’anno successivo mette in cantiere il “progetto 122”, ma le vendite eccezionali della 600 non fanno certo sentire l’urgenza di una nuova vettura e così lo studio procede stancamente (solo nel 1964 si vedrà la 850).
Nello stesso periodo la Société Industrielle de Mécanique et de Carrosserie Automobile, fondata nel 1934 dall’italiano Enrico Teodoro Pigozzi per assemblare, e in seguito produrre vetture su licenza Fiat, sta producendo grosse berline su licenza della Ford SAF e le vendite non vanno troppo bene. Ci vorrebbe proprio una piccola vettura economica per rilanciare l’immagine (e le finanze) della casa. In quel 1960 Fiat e SIMCA stringono nuovamente i loro rapporti: la Fiat cede studi e disegni della 122, oltre a mettere a disposizione i propri tecnici, tra cui Dante Giacosa e Rudolf Hruska. La linea della nuova carrozzeria viene nel frattempo definita da Mario Revelli di Beaumont. Nel 1961 la SIMCA 1000 è già in strada.


 

Il pubblico però la giudica in un primo momento eccessivamente spartana e le vendite non decollano. Basta però rivedere allestimenti e finiture e, soprattutto, aumentare la potenza del piccolo motore per fare della 1000 una vettura di successo diffusa in tutto il mondo arrivando ad essere prodotta, nelle sue numerose versioni, in poco meno di 2.000.000 di esemplari.
Osservandone la meccanica la piccola SIMCA rivela la sua stretta parentela con la Fiat 600, con la stessa disposizione degli organi meccanici; ha però quattro portiere, un discreto bagagliaio all’anteriore ed anche, pur non essendo una giardinetta, il sedile posteriore ribaltabile, Mario Revelli era infatti un pioniere delle “carrozzerie funzionali” e aveva applicato alla nuova utilitaria alcuni piccoli accorgimenti che, almeno in parte, ne decretarono il successo. Il piccolo prezzo da pagare fu una carrozzeria molto lineare e squadrata, tanto che all’epoca qualcuno la definì “una scatola da scarpe”, ma il volume interno era impareggiabile e la linea tutto sommato simpatica. Soltanto la finestratura laterale manifestava un certo scompenso: il finestrino anteriore risultava sensibilmente più corto del posteriore, ma ciò era dettato dall’arretramento dell’abitacolo che dava slancio alla linea e, soprattutto, dalla soluzione fortemente voluta delle quattro portiere.
Per la sua semplice eleganza, l’economia d’ uso, la praticità e per il fatto di trovarsi un gradino sopra la 600 la SIMCA 1000 conobbe una grande diffusione anche in Italia dove inevitabilmente si trovò in forte concorrenza con la Fiat 850, con cui condivideva il progetto d’origine. Si difese bene anche dalle contemporanee Renault 8 e 10, molto simili e nella stessa fascia di mercato, e dalla Prinz 4, nata sempre nel 1961, più piccola ma molto agguerrita.

La seconda serie aggiornata nell'estetica con la nuova fanaleria di coda
La 1000 nella sua versione più diffusa montava un quattro cilindri in linea raffreddato ad acqua di 944 cc e 45 cv che la spingeva a poco più di 120 Km/h, ma ricevette nella sua lunga carriera motori più performanti di 1118, 1204 e 1294 cc con potenze di 56, 62 e 75 cv fino ai 106 che consentivano 180 Km/h all’ultima serie della fortunata versione Rally. Ne venne creato poi un particolare modello economico di 777 cc con 30 cv e fu disponibile inoltre con una filante carrozzeria coupé disegnata da Bertone. Infine fu con la 1150 l’unico caso (escludendo le poche Porsche 356B) di vettura di grande serie non prodotta dalla Fiat a ricevere le cure del leggendario Carlo Abarth. 

lunedì 1 luglio 2013

Fari e fanali...

In diverse vetture, ed in particolare in quelle sportive realizzate in serie limitata, dove non si riteneva opportuno (ed economico!) approntare una produzione particolare, poteva capitare che si usassero particolari provenienti da vetture più diffuse.
I più evidenti, dato che finivano per caratterizzare il design della vettura, erano appunto i fari ed i fanali.
I fanali posteriori della Lamboghini Miura, ad esempio, sono quelli della Fiat 850 Sport Spider, quelli della Lancia Fulvia Sport Zagato (I° serie)

Fanale NSU Prinz 4 - Fulvia Zagato
provengono invece dalla NSU Prinz. Almeno tre vetture, la Ford Taunus 17M, la Prinz 1000 e la Lamborghini 350 GT, hanno in comune gli inconsueti (per l'epoca) fari ellissoidali...
I fari rotondi da 175 mm delle Fiat (SIEM, Carello) hanno equipaggiato diverse vetture cambiando la foggia della ghiera cromata, citiamo ad esempio le 1100 D e 1100 R, la 850 e la 124, ma li troviamo anche sull'ultima serie della 600D, sulla 128, sulla Ritmo e sono stati impiegati anche sulla Dino 246 gt e come faro esterno dell'Alfa Romeo Giulia...
La Fiat aveva invece  previsto due diversi tipi di fanale posteriore per equipaggiare la 850 e la 1100 R, ma il fatto che avessero lo stesso ingombro e la stessa foratura dei lamierati per il montaggio ha fatto sì che venissero montati talvolta indifferentemente sui due tipi di vettura, ad esempio a seguito di una riparazione. Il fanale della 850 ha il catarifrangente stretto, quello della 1100 più sottile e largo  (*). Entrambi si ispirano ai fanali delle Simca 1000 (1961) e 1300/1500 (1963).



I fari anteriori della 850 Familiare erano quelli delle berline 1300/1500 che continueranno a sopravvivere con minime modifiche alla rigatura del vetro sulla 132 e poi sulla 131 mirafiori, mentre la 850 Coupè II serie condivideva i fanali posteriori con la 128 Rallye.
La grintosa Lamborghini Countach montava invece una versione senza cornici cromate dei fanali posteriori della Alfa Romeo Alfetta I° serie.
Le Fiat 1200 Spider Pininfarina avevano i fanali posteriori in comune nientemeno che con la Ferrari 250 Gt 2+2
E come dimenticare i fanali delle fiat 500, che seppure molto personali, montati orizzontalmente, equipaggiarono diversi e numerosi modelli di Dune Buggy fioriti nei primi anni '70.
I fanali posteriori delle Alfa Giulia e 1750/2000 erano disegnati per essere montati su lamierati piani (le berline da cui provenivano erano a coda tronca) ed hanno perciò facilmente equipaggiato diverse vetture sportive.
Ad esempio i fanali della 1750 decoravano egregiamente il posteriore della De Tomaso Pantera, mentre la Maserati Ghibli si fregiava dei fanali della seconda serie delle Giulia per poi dotarsi, dopo il 1971, dei più moderni fanali dell'Alfa 2000 commercializzata in quell'anno, fanali usati anche dalla Maserati Khamsin.

Una Ghibli del 1968 con i fanali della Giulia II° serie
Anche la Pantera comincerà in seguito a montare quest'ultimo tipo di fanale (Alfa 2000). La Iso Rivolta Fidia montava invece i fanali della Fiat 124 Sport Coupè I° serie, scelti anche dalla Bitter per la sua versione coupè dalla Opel Diplomat V8 e dalla Lamborghini per la Espada, che monterà successivamente quelli dell'Alfa 1750.
Fanali Alfa 1750, sostituiti poi da quelli della 124 Sport II° serie, invece per la Lamborghini Jarama.



(*) Nota:
I fanali posteriori della Fiat 1100, cioè quelli con il catarifrangente largo, furono montati per un certo periodo dalla stessa Fiat sulla versione "special" della 850 che uscì nel 1968.
Era questo uno dei particolari che la differenziavano dalle berline normali e super, oltre alle cromature delle guarnizioni dei cristalli, al profilo sulle fiancate e sulle grondine, alle ruote di 13', al diverso cruscotto con volante in finto legno e al diverso fregio frontale.
Il motore, sempre di 843 cc. erogava 47 cv, 10 in più della versione "super".